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Dalla caccia alle streghe lombarda passando per i processi a Salvini, la magistratura che vuole decidere chi può governare e chi no, e la sinistra che ancora una volta ricorre all’uso politico della giustizia per eliminare gli avversari
Con il voto di ieri, che autorizza il processo a Matteo Salvini per la vicenda Open Arms, il Senato è riuscito a scrivere l’ennesima pagina nera nel rapporto tra politica e giustizia. In un sol colpo il Parlamento ha chinato la testa di fronte al protagonismo dei giudici, ha mandato in pasto al circo mediatico-giudiziario il leader del primo partito italiano, e ha dato nuove munizioni per la “Bella Estate” della Procure che questa settimana hanno riservato tutte le loro premure ai leader dell’opposizione. Dalla caccia alle streghe lombarda passando per i processi a Salvini, reo – pensate un po’! – di voler fare rispettare una legge dello Stato quando era ministro, stiamo assistendo a una vera e propria invasione, una “judicialisation of politics” come non si vedeva dai tempi di Tangentopoli.
Non è un caso che una delle poche scene edificanti di ieri – durante una seduta del Senato che non si distinguerà certo per quella che spesso i commentatori definiscono “haute politique” – sia stata quella dell’abbraccio tra il leader della Lega e la senatrice forzista Stefania Craxi, figlia di Bettino, di cui Salvini ha ereditato, ahilui, la persecuzione giudiziaria.
Ecco allora che mentre la maggioranza punta palesemente a eliminare il leader più votato alle ultime elezioni europee, dando giustificazioni implausibili al suo intento, il centrodestra si ritrova nella sua posizione abituale degli ultimi trent’anni: quella di vittima della magistratura di sinistra che vuole mettere il cappello sul sistema politico italiano e decidere chi può governare e chi no.
D’altronde, l’incontro tra la cultura piercamillodavighista dei 5 Stelle, quella giacobina della sinistra e quella cinicamente utilitarista dei renziani non poteva che produrre il governo più giustizialista della storia della Repubblica.
Il tutto mentre sulla grande stampa e in tv si fanno le pulci all’operato del presidente Fontana ma si tace sulla fornitura di mascherine misteriosamente scomparsa ordinata dal presidente della Regione Lazio e segretario del Pd Zingaretti; si tace sull’ospedale specializzato Covid di De Luca in Campania costato 7 milioni ai contribuenti e rimasto sempre vuoto; si dedicano trafiletti all’ex ministro Lotti, che va a processo per il caso Consip. E soprattutto, si finge di dimenticare che ad avallare le azioni di Salvini fu tutto il governo di allora, a maggioranza 5 Stelle, con l’odierno idolo progressista Giuseppe Conte nel ruolo di presidente del Consiglio. E si parla di un anno fa, non di un secolo.
La sinistra brinda a champagne per aver mandato Salvini a processo ma non si illuda: il suo cin-cin non è d’annata, sa di tappo. Non c’è mai da essere fieri della propria democrazia quando si fanno 27 indagini sulla sanità gestita dal primo partito dell’opposizione; quando si fa leva sull’odio sociale e sull’invidia per mettere le mani su una Regione dove da sempre gli elettori rifiutano di votare a sinistra; quando si cerca con ogni mezzo di sbarazzarsi di chi – se si andasse al voto – finirebbe dritto dritto a Palazzo Chigi al posto di chi, un voto, non lo ha mai preso nemmeno da un’assemblea di condominio.
Ventotto anni dopo l’inizio della “terreur” tangentopolara, l’Italia si ritrova di nuovo punto e a capo: la politicizzazione della giustizia è ancora il fattore decisivo e dominante della nostra vita pubblica. Nelle altre democrazie occidentali non funziona così. Ieri a Palazzo Madama si è confermata una tendenza: per riportare il Paese al ruolo che le compete tra le grandi democrazie liberali servirà ancora molto tempo.
02.08.2020