Potremmo continuare all’infinito ma tutte le strade conducono ad un centro che non vogliamo vedere e nemmeno nominare: l’educazione. Il problema principale è che viviamo in una società ineducata. Si, anche maleducata, ma soprattutto ineducata; ossia nessuno avverte il dovere, il diritto, l’obbligo di educare e di essere educato. Ciascuno ritiene di essere autonomo, autosufficiente, sin da piccolo; ogni tentativo di educare è visto come un plagio, una sottomissione, una coercizione; comunque una limitazione alla libertà, una mancanza di rispetto della personalità, anche quella in fieri di un ragazzino; insomma non un prendersi cura ma un abuso sui sacrosanti diritti di essere quel che vogliamo essere.
Non si può nemmeno provare a dirla, quella parola – educazione – e ti sfilano davanti le immagini di regimi autoritari se non totalitari, dispotismi del passato o sistemi patriarcali, paternalistici ormai sepolti nel passato.
Ma come “non si nasce imparati”, così non si nasce educati; e non può bastare una forma di auto-educazione; contano i saperi, le esperienze, i ruoli, i confronti e le responsabilità. Tutto questo dà autorevolezza e anche, non spaventatevi, autorità, di cui abbiamo bisogno almeno quanto il suo contrario, l’autonomia. Anzi il rapporto tra autorità e autonomia non è paritario, almeno in partenza, quando si è piccoli è necessariamente sbilanciato a favore del primo.
L’educazione è la grande assente della nostra società contemporanea. Non si fa più educazione anche perché sono venuti meno principi condivisi e orizzonti comuni di senso. Ed è venuta meno la pazienza, di educare e di farsi educare. L’educazione comporta non solo un perimetro di regole e di comportamenti, ma anche di principi di riferimento, conoscenza di saperi in proporzione all’età, all’istruzione e all’intelligenza di ciascuno e un impegno costante alla crescita civile e culturale dei cittadini. Educazione civica? Certo, ma non solo. Educare al rispetto, alla civiltà e alle buone maniere, educare alla buona lingua, educare alla lettura e alla cultura, alla storia e alla bellezza, educare alla cittadinanza e al lavoro, alla natura e al corpo e ad alcuni principi basilari di buona vita che si traducono anche sul piano etico e morale. L’istruzione non basta, soprattutto quando si riduce pragmaticamente a istruzioni per l’uso; né basta la dimestichezza con ambiti tecno-pratici o in grado di rendere profitti. L’educazione è una visione generale, un saper misurare mezzi e fini, un saper vivere in una comunità, aver coscienza dei propri diritti e dei propri doveri, nonché consapevolezza del mondo, della città, del paese in cui si vive. Educare all’amore è infine il grado più alto d’educazione all’amore a ogni livello e in ogni campo, non solo quello strettamente sentimentale.
Ma dove sono gli educatori? Le agenzie principali restano tre: la scuola, i mass media e la famiglia, più vari ambiti intermedi e collaterali. Tutti e tre in crisi profonda. A scuola difettano largamente, e spesso sono riluttanti a riconoscersi come educatori. I media negano persino che sia un loro compito educare, loro devono informare, divertire, al più istruire e soprattutto vendere; e invece i propri modelli pubblici di riferimento passano dai media. In famiglia è cambiato il codice primario: non educare ma solo proteggere, non educare i figli ad assumersi responsabilità, a essere rispettosi, ad accettare i propri limiti e a impegnarsi per essere migliori, ma tutelarli, schermarli o prepararli ad aggirare gli ostacoli, respingere ogni criterio selettivo e ogni severità, parteggiare sempre e comunque per loro, assecondarli su tutto salvo quando rischiano di farsi male. La formula nociva che si oppone all’educazione è mammismo più utilitarismo= comfort, cioè farsi i propri comodi. Non è una formula solo casalinga, è in fondo il criterio generale di organizzazione sociale, dove il mammismo diventa permissivismo e l’utilitarismo si fa primato del profitto e del tornaconto.
Una società è fiorente se ha sotto di sé una buona economia, una società è malata se ha sopra di sé l’economia.
La domanda resta ancora senza risposta: dove trovare gli educatori?
Credo ormai che la politica non sia più in grado di pensare a questi processi; è solo un intervallo esecutivo di direttive da seguire nell’immediato o nelle sue prossimità; l’importante è andare al potere e starci il più possibile. Quello è l’Utile Assoluto.
A essere visionari quel che occorre a questo punto è un grande movimento civile di educazione aperto a tutti coloro che ci stanno e hanno i titoli per starci: insegnanti veri, in attività o in pensione, fondazioni, istituti, associazioni, parrocchie e organismi religiosi, culturali, dirigenti sparsi e studiosi a piede libero, esempi virtuosi. Da tempo immemorabile non sorgono più movimenti civili, fuori dal birignao del catechismo woke o di genere, che spingano verso questo grande compito educativo rivolto alla società.
La difficoltà, se non la velleità, del progetto è enorme quanto la necessità di provarci. Un progetto, dieci progetti. Poi dieci piccoli volontari, e cento, poi mille, via via allargandosi. E dieci piccoli seminari, poi corsi, scuole serali di educazione, palestre. Fino a che se ne accorge anche la politica, e sono guai; o fino a che se ne accorgono i governi e i ministeri, e oltre i guai, possono magari nascere anche iniziative e programmazioni.
Come tutte le cose grandi, benefiche e necessarie che si propongono, le previsioni inclinano sempre sul negativo, è molto più probabile che falliscano o tradiscano. Il problema è capire che senza quel pensare in grande, senza quei tentativi di modificare il corso degli eventi e non lasciarli scorrere così come vengono, siamo destinati alla fine della civiltà.
Una società ineducata si lascia mangiare a morsi, giorno dopo giorno.
Di Marcello Veneziani
Marcello Veneziani. Filosofo, scrittore e saggista.
16.10.2024
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