Kit Klarenberg e Wyatt Reed
thegrayzone.com
Per anni, il Mossad israeliano aveva monitorato e influenzato segretamente la violenta fazione comunista che, il 16 marzo 1978, aveva rapito e ucciso lo statista italiano Aldo Moro, come documentato dal giornalista investigativo Eric Salerno.
Nei suoi 30 anni di carriera come corrispondente, dopo aver lavorato a stretto contatto con diversi capi di Stato italiani Salerno aveva pubblicato nel 2010 un libro intitolato Mossad Base Italy, in cui svelava i loro rapporti con i servizi segreti israeliani.
Il giornalista ha dichiarato a The Grayzone che Moro, probabilmente il leader più importante d’Italia, era diventato una spina nel fianco delle potenti forze che cercavano di mantenere l’Italia saldamente ancorata al blocco filo-occidentale. Salerno ritiene che la politica estera a lungo termine dell’Italia avrebbe avuto uno sviluppo diverso se Moro fosse sopravvissuto, aggiungendo: “Questo era ciò di cui avevano paura negli Stati Uniti”.
Moro era stato rapito nel 1978 dalle Brigate Rosse, una fazione radicale, in un’operazione audace e altamente professionale condotta in pieno giorno e dove erano state uccise tutte le sue guardie del corpo tranne una [in realtà furono uccise tutte e cinque, N.D.T.]. Moro era stato giustiziato due mesi dopo. Il caso, ancora irrisolto, aveva sconvolto la nazione e rimane un capitolo profondamente inquietante nel periodo di intrighi dei servizi segreti e terrorismo politico noto agli italiani come gli Anni di Piombo.
Secondo alcune delle fonti più autorevoli in Italia, questi crimini presentano forti somiglianze con quelli dell’Operazione Gladio, un’operazione segreta che aveva visto la CIA, l’MI6 e la NATO addestrare e dirigere un esercito ombra di unità paramilitari fasciste in tutta Europa al fine di portare a termine attacchi terroristici sotto falsa bandiera, rapine e omicidi con l’obiettivo di neutralizzare la sinistra socialista.
Moro, che apparteneva all’ala progressista del Partito Democratico Cristiano e aveva ricoperto cinque mandati come primo ministro, minacciava di stravolgere il tradizionale ordine postbellico in Italia stringendo un “compromesso storico” con il Partito Comunista Italiano. “Era qualcosa che probabilmente una parte dell’establishment politico italiano temeva, anche all’interno del suo stesso partito”, osserva Salerno.
Mentre questa parte della storia di Moro è ben nota agli italiani, Salerno ha documentato un aspetto meno conosciuto della sua eredità: l’accordo dello statista con i gruppi della resistenza palestinese, probabilmente mediato dal presidente libico Muammar Gheddafi, che aveva consentito all’OLP e ad altri di contrabbandare armi e viaggiare liberamente attraverso l’Italia in cambio della salvaguardia del Paese stesso da attacchi terroristici. Quell’accordo, che gli studiosi considerano un “processo dinamico” in continua evoluzione, è conosciuto come il “Lodo Moro”.
Si ritiene che il patto fosse stato stipulato nel 1973, durante il mandato di Moro come Ministro degli Esteri, quando l’Italia aveva segretamente rilasciato un gruppo di combattenti palestinesi che intendevano attaccare un aereo della compagnia aerea israeliana El Al in partenza dall’aeroporto di Fiumicino a Roma. Questo accordo era stato in gran parte motivato dal desiderio dell’Italia di mantenere un certo grado di indipendenza dal blocco occidentale guidato dagli Stati Uniti, che era oggetto di un embargo petrolifero come ritorsione per il sostegno di Washington a Israele nella guerra arabo-israeliana del 1973.
Pur senza arrivare ad affermare che il Mossad avesse ordinato direttamente il rapimento e l’esecuzione di Moro, Salerno ha dichiarato a The Grayzone: “Penso che la loro idea fosse: ‘vediamo cosa succede e, se è necessario e pensiamo che sia il momento giusto, possiamo dare una mano in un modo o nell’altro’”.
Per oltre un decennio il Lodo Moro aveva isolato l’Italia dalla violenza che affliggeva altre nazioni del Mediterraneo. Questi complotti erano diventati sempre più comuni nella regione dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967 tra Israele e una coalizione di Stati arabi tra cui Egitto, Siria e Giordania.
Ma era solo questione di tempo prima che la violenza consumasse anche la vita di Moro.
Mossad Base Italy
Il libro di Salerno, Mossad Base Italy, è forse la cronaca più completa delle relazioni strette e durature tra i servizi segreti israeliani e la leadership politica italiana. Pubblicato nel 2010, il libro rimane quasi completamente sconosciuto nel mondo anglofono.
L’autore illustra come l’alleanza segreta tra Israele e Italia fosse antecedente alla creazione di Israele, nel maggio 1948, dal momento che Roma aveva già fornito un sostegno segreto alle milizie sioniste, come l’Haganah. Individui affiliati a Benito Mussolini e neofascisti all’interno dell’apparato di sicurezza italiano del dopoguerra avevano fornito loro armi e addestramento per schiacciare la resistenza palestinese e sostenere la loro campagna di pulizia etnica.
“Gli israeliani non volevano che Roma diventasse un satellite dell’Unione Sovietica, e gli Stati Uniti avevano la stessa posizione. Il Paese era essenzialmente la prima linea dell’Occidente contro il blocco orientale”, ha spiegato Salerno a The Grayzone. “L’Italia confinava con la Jugoslavia, non era lontana dai Paesi del Patto di Varsavia e il sostegno al comunismo e all’Unione Sovietica era forte all’indomani della Seconda Guerra Mondiale. Era anche una sorta di portaerei nel Mediterraneo, dove si poteva atterrare e partire per altre destinazioni”. Con quasi 5.000 miglia di costa e solo 90 miglia che separano la Sicilia dalla Tunisia, l’Italia è stata spesso descritta come il “guardiano” del Mar Mediterraneo.
Salerno ha concluso che ogni amministrazione italiana dal secondo dopoguerra aveva segretamente aiutato il Mossad e l’intelligence militare israeliana. In una recensione del suo libro, il giornalista di Haaretz ed ex funzionario dell’intelligence, Yossi Melman aveva osservato: “Lo spionaggio israeliano conferma che i servizi segreti italiani sono tra i più amichevoli al mondo nei confronti delle loro controparti israeliane”.
Salerno sostiene in modo convincente che sia il Mossad che l’aviazione israeliana erano effettivamente “nati a Roma” e rivela che Tel Aviv aveva affidato ai servizi segreti italiani lo svolgimento di “missioni estremamente riservate” per loro conto. È sorprendente che il suo libro non sia mai stato tradotto in inglese.
Il giornalista attribuisce il costante orientamento filoisraeliano dei servizi segreti italiani a una combinazione di opportunismo politico e ad un persistente senso di colpa collettivo per la complicità di Roma nei crimini contro gli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale. Da allora, i governi italiani hanno in gran parte “sentito… di dover aiutare gli ebrei perché questi avevano sofferto sotto il regime precedente”.
Le “prove oggettive” che il Mossad aveva abbattuto un aereo italiano
La tradizionale dinamica tra Roma e Tel Aviv era stata messa in discussione dall’ascesa al potere dei governi del Partito Democratico Cristiano italiano, compreso quello di Moro. Nel giro di pochi mesi, Israele aveva iniziato a rispondere a questa sfida con evidenti atti di sabotaggio all’interno dei confini italiani, secondo quanto riferito da diverse figure ben informate.
Alla fine del 1973, erano stati arrestati grazie a una soffiata del Mossad cinque membri del gruppo militante palestinese Settembre Nero, che si riteneva stessero preparando l’abbattimento di un aereo di linea israeliano con missili terra-aria nel più grande aeroporto di Roma. Tuttavia, un mese dopo, Moro aveva fatto in modo che fossero rilasciati e trasferiti in Libia.
I membri di Settembre Nero erano stati prima trasportati a Malta con un aereo da trasporto italiano noto come Argo 16, un velivolo che veniva regolarmente utilizzato per trasportare gli agenti dell’Operazione Gladio in una base di addestramento segreta in Sardegna e per consegnare armi della CIA/MI6 a depositi segreti sparsi in tutto il Paese. Dopo aver scoperto che i palestinesi erano stati liberati, il Mossad si era infuriato, secondo l’allora capo del controspionaggio di Roma, Ambrogio Viviani.
Il 23 novembre 1973, l’Argo 16 era precipitato poco dopo il decollo dall’aeroporto di Venezia, causando la morte dell’intero equipaggio.
Un’indagine iniziale aveva concluso che la tragedia era stata solo un un incidente, ma il caso era stato riaperto dalla procura di Venezia nel 1986. Anche quell’indagine si era arenata, quando i funzionari della sicurezza e dell’intelligence si erano rifiutati di testimoniare e avevano iniziato a nascondere le prove. Tuttavia, il giudice che supervisionava il caso, Carlo Mastelloni, aveva dichiarato a Salerno che non c’era alcun dubbio, sulla base di “prove oggettive”, che l’abbattimento dell’aereo fosse opera di Israele.
“È tutto legato al famoso ‘Lodo Moro’”, aveva affermato Mastelloni. Il sabotaggio dell’Argo 16 non era stato solo una “rappresaglia” per il rilascio dei palestinesi arrestati, ma un “avvertimento” sulle “concessioni” dell’Italia ai “nemici di Tel Aviv”. Tuttavia, il Lodo Moro aveva continuato a reggere nonostante l’implicita minaccia di violenza, il che solleva la questione se il Mossad avesse sentito il bisogno di alzare la posta in gioco.
“Il Mossad aveva deciso di trasferire il conflitto mediorientale in Italia”
L’Argo 16 non era stato l’unico incidente mortale avvenuto in Italia durante gli anni di piombo che sembrava recare le impronte del Mossad. Quando nel maggio 1973 una bomba a mano era stata lanciata contro il quartier generale della polizia di Milano, uccidendo quattro civili e ferendone 45, il colpevole, dopo il suo immediato arresto, si era autodefinito un anarchico. Tuttavia, le indagini successive avevano rivelato che l’autore del reato, Gianfranco Bertoli, era un informatore di lunga data dei servizi segreti militari italiani, nonché membro di numerose organizzazioni neofasciste, tra cui Ordine Nuovo, legato a Gladio.
Bertoli aveva trascorso parte dei due anni precedenti l’attentato nel kibbutz Karmiya in Israele, dove venivano spesso ospitati rappresentanti della fazione di estrema destra francese Jeune Révolution, mantenendo così i contatti con i servizi segreti francesi. Tali incidenti avevano spinto Salerno a chiedersi: “Il Mossad faceva parte della strategia della tensione?” Questa era la stessa conclusione a cui era giunto Ferdinando Imposimato, un magistrato italiano che aveva supervisionato i primi processi agli esponenti delle Brigate Rosse per l’omicidio di Moro.
“Bisogna riconoscere che i servizi segreti israeliani avevano una perfetta conoscenza del fenomeno sovversivo italiano fin dal suo inizio, e questo perchè avevano sempre fornito un sostegno ideologico e materiale”, aveva osservato Imposimato nel 1983. “Il Mossad aveva deciso di trasferire il conflitto mediorientale in Italia, con l’obiettivo di destabilizzare la situazione politica e sociale”. Lo scopo di Israele era “indurre l’America a vedere Israele come l’unico alleato nel Mediterraneo e ottenere così un maggiore sostegno politico e militare”.
Durante la sua testimonianza del marzo 1999 davanti a una commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia, il militante delle Brigate Rosse Alberto Franceschini aveva dichiarato che il gruppo era stato contattato dal Mossad tramite un intermediario dopo il rapimento da parte delle Brigate Rosse di un magistrato di nome Mario Sossi, nell’aprile 1974. Secondo Franceschini, il Mossad aveva fatto una proposta “inquietante” per finanziare il suo gruppo, affermando che, piuttosto che cercare di controllare le Brigate Rosse, Israele cercava solo di garantire che il gruppo continuasse a operare:
“Non vogliamo dirvi cosa dovete fare. Cioè, quello che fate per noi va bene. Ci interessa che esistiate. Il fatto stesso che esistiate, qualunque cosa facciate, per noi va bene”.
Descrivendo “le motivazioni politiche” alla base della posizione del Mossad, Franceschini aveva osservato: “Dal punto di vista delle relazioni con gli Stati Uniti… più l’Italia era destabilizzata, più diventava inaffidabile e più Israele diventava un Paese affidabile per tutte le politiche mediterranee”. Negli ultimi anni della sua vita, Franceschini aveva rivelato che Israele “aveva offerto armi e assistenza” alle Brigate Rosse: “il loro obiettivo dichiarato era quello di destabilizzare l’Italia”.
Come ha osservato Salerno a The Grayzone, “in una delle sue ultime interviste”, Franceschini “aveva confermato al mio collega del Corriere della Sera che il Mossad era stato in contatto fin dall’inizio con le Brigate Rosse”, interazioni che il corrispondente aveva sottolineato essere “del tutto normali nel modo in cui il Mossad agiva con i vari tipi di, chiamiamole organizzazioni sovversive, in tutta Europa”.
L’idea di un potenziale coinvolgimento israeliano nell’organizzazione del complotto contro Moro – o nell’ostacolare i tentativi di risolverlo pacificamente – è rafforzata dalle dichiarazioni di numerosi e influenti politici italiani, secondo cui Israele avrebbe sia “cofinanziato” che “influenzato” il gruppo che aveva rivendicato l’uccisione di Moro. Queste rivelazioni sono state finora universalmente ignorate dai principali media in lingua inglese.
Nel luglio 1998, Giuseppe De Gori, un avvocato che aveva rappresentato il Partito Democristiano di Moro in numerosi processi relativi al caso, aveva dichiarato a una commissione parlamentare sul terrorismo che il Mossad “aveva sempre controllato” le Brigate Rosse, senza infiltrarsi formalmente nel gruppo. Aveva raccontato come, nel 1973, un maggiore e un colonnello del Mossad “si erano presentati” al gruppo, smascherando gli infiltrati nelle loro file e offrendo “armi e tutto ciò che volevano, a condizione che perseguissero una politica diversa”.
Sebbene le Brigate Rosse avessero rifiutato, “da quel momento in poi, era stato chiaro che il Mossad” teneva d’occhio la fazione militante. De Gori aveva testimoniato che i servizi segreti israeliani “odiavano” l’”antisionista” Moro e avevano iniziato ad approfittare della loro capacità di “far trapelare” alle Brigate Rosse informazioni che avrebbero potuto influenzare le loro azioni.
Come aveva spiegato l’avvocato, non c’era “alcuna necessità” che il Mossad penetrasse direttamente nelle Brigate Rosse. De Gori aveva lasciato intendere che la decisione del gruppo di uccidere Moro dopo quasi due mesi di prigionia fosse il risultato di tale intervento indiretto da parte israeliana. Mentre i funzionari del governo italiano avevano rifiutato qualsiasi negoziato con i rapitori, in una riunione privata dell’8 maggio 1978, alcuni esponenti della Democrazia Cristiana avevano proposto di mediare in modo indipendente un accordo per garantire il rilascio di Moro.
“Moro era stato ucciso subito dopo, quindi qualcuno deve aver riferito questa notizia”, aveva dichiarato De Gori. Nel 2002, l’avvocato aveva detto allo scrittore Philip Willan che il Mossad aveva reso l’esecuzione di Moro un fatto compiuto avvalendosi, a metà aprile 1978, dei servizi di un abile falsario per fabbricare una lettera delle Brigate Rosse alle autorità. Il comunicato affermava che lo statista era già morto. “Dopo di che… Moro non aveva più potuto essere salvato”, aveva dichiarato De Gori.
Il patto con la resistenza palestinese aveva messo Moro nel mirino
De Gori non è stato l’unica fonte autorevole a incolpare il Mossad per la morte di Moro. Nel maggio 2007, Giovanni Galloni, ex vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura italiana, aveva coraggiosamente dichiarato che “non tutti i partecipanti” al rapimento del premier erano membri delle Brigate Rosse. Tale conclusione era stata suggerita dal fatto che le guardie del corpo di Moro erano state uccise con “solo due armi, utilizzate da uomini di eccezionale esperienza”. Oltre a non essere mai stati identificati, questi assassini avevano dimostrato un livello di abilità nel tiro che nessun membro delle Brigate Rosse sembrava possedere.
Galloni aveva insinuato che gli assassini erano stati assoldati da Washington e/o Tel Aviv. Aveva rivelato che “alcuni mesi prima della sua cattura”, Moro gli aveva confidato di essere “preoccupato” che i “servizi segreti statunitensi e israeliani si fossero infiltrati nelle Brigate Rosse”. Moro aveva riferito la cosa all’ambasciatore americano in Italia, suscitando una “negazione ambigua” da parte del Dipartimento di Stato, che aveva dichiarato che Washington aveva sempre detto ai servizi segreti italiani “tutto quello che sapevamo”.
Galloni aveva chiesto: “Quali servizi segreti? Quelli veri o quelli controllati a distanza?”. Si riferiva chiaramente all’operazione anglo-americana di spionaggio e terrorismo a Roma nota come Operazione Gladio.
Ulteriori prove del coinvolgimento israeliano nell’omicidio di Moro si trovano nella testimonianza resa nel giugno 2017 davanti a una commissione parlamentare italiana da un ex magistrato di nome Luigi Carli, che era stato coinvolto in prima persona nelle indagini originali. Passato inosservato nel mondo anglofono e non menzionato nei rapporti ufficiali della commissione, Carli aveva affermato che le Brigate Rosse erano state “cofinanziate” dal Mossad.
Alla domanda sul perché Israele avrebbe dovuto sovvenzionare una fazione comunista armata in Italia, Carli aveva dichiarato che “diversi” ex collaboratori delle Brigate Rosse gli avevano detto che il Mossad aveva accettato di “occuparsi del cofinanziamento delle Brigate Rosse”, proposte che egli aveva considerato “strane”.
Tuttavia, [queste persone] gli avevano spiegato che qualsiasi sforzo che avesse finito per “indebolire, o contribuito ad indebolire, la situazione interna dell’Italia” avrebbe “migliorato il prestigio e l’autorità di Israele” nel Mediterraneo, aveva testimoniato Carli.
Le interviste assai illuminanti con l’ex presidente italiano Francesco Cossiga, pubblicate dal Bulletin of Italian Politics dopo la sua morte nell’agosto 2010, avevano fatto ulteriore luce sulle motivazioni del Mossad per assassinare Moro e per colpire Roma con alcuni attentati dinamitardi sotto falsa bandiera che avevano provocato numerose vittime. Cossiga era stato il primo politico italiano a riconoscere l’esistenza del Lodo Moro. Cossiga aveva affermato che gli Stati Uniti erano “ovviamente” a conoscenza dell’accordo, mentre lui stesso e gran parte della classe politica italiana ne erano all’oscuro.
Cossiga aveva ricordato che, mentre era Primo Ministro, nel novembre 1979, la polizia di una città costiera aveva intercettato un camion che trasportava un missile terra-aria. Successivamente aveva ricevuto un telegramma dal capo del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina George Habbash che ammetteva la proprietà del missile e rassicurava il premier italiano che non era destinato all’uso in Italia. Habbash aveva quindi chiesto la restituzione dell’arma e il rilascio dell’autista.
Habbash aveva avvertito che il mancato rispetto di tale richiesta avrebbe rappresentato una violazione dell’”accordo” del PFLP con Roma. “Nessuno aveva saputo spiegarmi cosa significasse questa parte”, aveva insistito Cossiga. Solo “molti anni dopo” era venuto a conoscenza del Lodo Moro.
Al momento delle interviste a Cossiga, lo Stato italiano aveva riaperto le indagini sull’attentato dinamitardo dell’agosto 1980 alla stazione ferroviaria di Bologna Centrale, che aveva causato 85 morti e oltre 200 feriti. L’indagine aveva portato alla condanna in contumacia dei membri dei Nuclei Armati Rivoluzionari, un gruppo neofascista legato a Gladio. Diversi sospetti principali, tra cui un agente confermato dell’MI6 di nome Robert Fiore, erano fuggiti a Londra, e la Gran Bretagna si era rifiutata di estradarli. Il Bulletin of Italian Politics aveva indicato il sequestro dei missili e l’esistenza stessa del Lodo Moro come elementi chiave nella nuova indagine.
Una delle ipotesi prese in esame dall’inchiesta era che l’attentato di Bologna fosse stato “compito dagli Stati Uniti o da Israele per punire l’Italia per la sua posizione filo-araba”. Dopo essersi a lungo lamentato che Roma “non aveva mai realmente avuto lo spazio per una propria politica estera” a causa della sua sottomissione agli interessi statunitensi, Cossiga aveva riconosciuto che l’Italia “aveva perseguito un programma nazionale” in Medio Oriente e “si era presa alcune libertà nei confronti del mondo arabo e di Israele”.
“La gente dimentica” che i Democristiani sono stati “sempre un partito filo-arabo”, aveva affermato Cossiga, facendo riferimento in particolare a Moro e al suo collaboratore Giulio Andreotti, un altro ex capo di Stato italiano che, nell’ottobre 1990, aveva reso nota l’operazione Gladio. Cossiga aveva affermato che “Andreotti aveva sempre creduto, anche se non l’aveva mai detto”, che gli Stati Uniti gli avessero causato “problemi giudiziari” a causa delle sue simpatie arabe.
Sebbene Salerno contesti la definizione di Andreotti come “filo-arabo”, descrivendolo invece come “filo-diritti degli arabi”, ha dichiarato a The Grayzone che Andreotti una volta gli aveva personalmente confidato: “Se fossi nato a Gaza, sarei stato un terrorista”.
Il comitato per il salvataggio di Moro era destinato al fallimento
Durante i 55 giorni di prigionia di Moro nelle mani delle Brigate Rosse, i funzionari italiani avevano dichiarato che “lo Stato non avrebbe dovuto piegarsi” alle “richieste dei terroristi”, chiarendo che il governo italiano non avrebbe negoziato con le Brigate Rosse né rilasciato alcun membro incarcerato in cambio del primo ministro. Moro era stato poi rinchiuso nel bagagliaio di un’auto, ucciso con dieci colpi di pistola e lasciato nel veicolo nel centro di Roma per essere ritrovato dalle autorità.
Oggi molti italiani guardano con profondo sospetto all’approccio inflessibile di Roma [nei confronti dei rapitori], data la disponibilità del governo a negoziare con i terroristi sia prima che dopo l’omicidio di Moro. Il magistrato Mario Sossi, il cui rapimento da parte delle Brigate Rosse sembra avesse spinto il Mossad ad avvicinare il gruppo, era stato rilasciato nel 1974 dopo un mese di prigionia in cambio della liberazione di alcuni membri del gruppo incarcerati.
Quando le Brigate Rosse avevano rapito il politico democristiano Ciro Cirillo nell’aprile 1981, le autorità italiane avevano negoziato direttamente con i rapitori, pagando un riscatto per il suo rilascio. Nel dicembre dello stesso anno, quando le Brigate Rosse avevano sequestrato il generale statunitense James Dozier, il militare era stato “localizzato e liberato in un blitz” da una task force congiunta italo-statunitense.
L’ex generale italiano Roberto Jucci in un’intervista del 2024 aveva messo a confronto il trattamento di Dozier con quello riservato a Moro. “Uno dei due volevano liberarlo, sull’altro ho i miei dubbi”, aveva affermato. Jucci è uno dei pochi italiani in grado di giudicare, essendo stato incaricato di addestrare una squadra di forze speciali in una base in Toscana, apparentemente con lo scopo di salvare il primo ministro rapito. Oggi ritiene che “il vero obiettivo fosse quello di togliermi di mezzo” e assicurarsi che Moro non venisse mai ritrovato. Durante i suoi 55 giorni di prigionia non c’era stato alcun blitz.
Jucci aveva dichiarato a La Repubblica che la commissione ufficiale incaricata di salvare Moro era “consigliata da un uomo inviato dagli Stati Uniti” ed era “composta in gran parte” da rappresentanti della loggia massonica fascista P2, affiliata a Gladio. Questi individui “volevano che le cose andassero in modo diverso da quello che chiedevano tutte le persone oneste” e desideravano che Moro “fosse distrutto politicamente e fisicamente”.
Se Moro fosse sopravvissuto, “la politica italiana avrebbe preso una piega diversa”. Jucci riteneva che il leader italiano avrebbe potuto “essere liberato se tutte le istituzioni avessero lavorato in questa direzione”. I documenti declassificati del Ministero della Difesa britannico risalenti al novembre 1990 dimostrano che i funzionari di Londra erano ben consapevoli del ruolo svolto dalla P2 nel sabotare gli sforzi ufficiali per salvare Moro. La loggia massonica era descritta come una delle forze “sovversive” presenti a Roma, che ricorreva al “terrorismo e alla violenza di strada per provocare una reazione repressiva contro le istituzioni democratiche italiane”.
Inoltre, secondo questi documenti, “prove circostanziali” indicavano che “uno o più rapitori di Moro erano segretamente in contatto” con l’”apparato di sicurezza” italiano e che gli investigatori “avevano deliberatamente trascurato di seguire piste che avrebbero potuto condurre ai rapitori e salvare la vita di Moro”.
Il Mossad continua le operazioni in Italia mentre a Gaza si consuma un genocidio
Oggi, nella politica italiana mainstream non c’è traccia di tendenze filo-arabe. Secondo Salerno, gli Stati Uniti e Israele non hanno più alcun bisogno di “destabilizzare l’Italia”, poiché il Paese è economicamente “debole”. Il governo di Roma è ora a tutti gli effetti “una continuazione, persino un’estensione, del vecchio regime fascista”, afferma, aggiungendo: “Ci sono persone nel governo che hanno statue di Mussolini nelle loro case”.
Il primo ministro Giorgia Meloni ha chiarito di nutrire scarsa simpatia per i palestinesi e di non avere alcuna intenzione di riconoscere uno Stato palestinese, anche dopo che, nel novembre 2024, era stato rivelato che il Mossad aveva ingaggiato una società di intelligence privata italiana per prendere di mira la Meloni e i suoi ministri. “Penso che, fondamentalmente, il governo che abbiamo attualmente in Italia sia un governo che vorrebbe criticare molte cose che stanno accadendo”, ma “non può criticare troppo Israele a causa di ciò che il regime fascista italiano aveva fatto agli ebrei durante la guerra”, spiega Salerno.
Riguardo alle recenti proteste e agli scioperi in tutta Italia a sostegno di Gaza, Salerno spiega: “Quello che sta accadendo oggi a Gaza, in Palestina, è qualcosa di eccezionale”. Ma “poiché in Italia per molti anni non si è insegnato né parlato della difficile situazione dei palestinesi… la maggioranza della popolazione italiana e i governi italiani” non hanno “mai fatto molto per aiutare realmente i palestinesi”. Ora, ancora una volta, “all’improvviso, abbiamo scoperto di avere il Medio Oriente e la questione palestinese”.
Ancora oggi, il Mossad continua a svolgere operazioni in Italia. Il rapporto tra i servizi segreti italiani e israeliani è stato recentemente messo in luce da uno strano incidente avvenuto nel maggio 2023, quando un battello si era capovolto sul Lago Maggiore, causando la morte di quattro delle 23 persone a bordo. Sebbene i media tradizionali avessero inizialmente descritto il caso come un tragico incidente avvenuto durante una festa di compleanno, era diventato subito chiaro che tutti i passeggeri della barca, tranne il capitano e sua moglie, erano spie israeliane e italiane.
I 10 israeliani sopravvissuti erano stati rapidamente riportati a Tel Aviv con un aereo militare prima di poter essere interrogati dalla polizia, con l’apparente benedizione delle autorità italiane. Le indagini successive avevano suggerito che il raduno fosse un’operazione congiunta di intelligence sulle “capacità delle armi non convenzionali iraniane”, volta a sorvegliare l’industria locale o i ricchi russi che vivevano nelle vicinanze e che erano sospettati di aiutare Mosca a ottenere droni da Teheran.
Il direttore del Mossad, David Barnea, aveva personalmente letto l’elogio funebre per la spia israeliana deceduta, che i media italiani avevano identificato come Erez Shimoni, suggerendo chiaramente che si trattasse di una figura di spicco dell’agenzia di intelligence. Sebbene il capitano del battello fosse stato condannato per omicidio colposo, la polizia militare italiana aveva immediatamente annunciato che non avrebbe indagato sulle attività delle spie a bordo.
Kit Klarenberg e Wyatt Reed
Fonte: thegrayzone.com
Link: https://thegrayzone.com/2025/10/04/mossad-contact-italian-pm-killers/
04.10.2025
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org
