Aspettando le immagini di un’abbietta sottomissione che ancora non si vedono

Alastair Crooke
strategic-culture.su

Trump: «Questo problema con il Vietnam… Avevamo smesso di combattere per vincere. Avremmo vinto facilmente. Avremmo vinto facilmente in Afghanistan. Avremmo vinto facilmente ogni guerra. Ma siamo diventati politicamente corretti: “Ah, prendiamola con calma!”. Il fatto è che non siamo più politicamente corretti. Giusto per capirci: noi vinciamo. Ora vinciamo». Tutto questo sarebbe stato facile, insieme all’Afghanistan.

Cosa intendeva dire Trump riferendosi al Vietnam? “Quello che stava dicendo è che ‘noi’ avremmo vinto facilmente in Vietnam, se non fossimo stati woke e DEI [Diversità, Equità, Inclusione]”. Alcuni veterani potrebbero amplificare il concetto: “Avevamo abbastanza potenza di fuoco: avremmo potuto uccidere tutti”.

Non importa dove andiate“, aggiunge Trump, “non importa cosa pensiate, non c’è niente di paragonabile alla forza militare che abbiamo, [compresa] Roma… Nessuno dovrebbe mai iniziare una guerra con gli Stati Uniti“.

Il punto è che nell’attuale cerchia di Trump non solo non c’è paura della guerra, ma c’è anche questa illusione infondata della potenza militare americana. Hegseth ha detto: “Siamo l’esercito più potente della storia del pianeta, senza eccezioni. Nessun altro può nemmeno avvicinarsi“. A cui Trump ha aggiunto: “Anche il nostro mercato è il più grande del mondo: nessuno può vivere senza di esso“.

L’impero anglo-statunitense si sta mettendo con le spalle al muro, in un “declino terminale”, come afferma il filosofo francese Emmanual Todd. Da un lato, Trump sta tentando di imporre un nuovo “Bretton Woods” per ricreare l’egemonia del dollaro attraverso minacce, intimidazioni e dazi doganali, o addirittura la guerra, se necessario.

Todd ritiene che, mentre l’impero anglo-statunitense sta crollando, gli Stati Uniti stiano reagendo con rabbia contro il mondo e si stiano autodistruggendo nel tentativo di ricolonizzare le proprie colonie (cioè l’Europa) per ottenere rapidi guadagni finanziari.

La visione di Trump di una forza militare statunitense inarrestabile equivale a una dottrina di dominio e sottomissione. Una dottrina che va contro tutta la precedente narrativa dei valori occidentali. Ciò che è chiaro è che questo cambiamento di politica è “legato a doppio filo” ai credi escatologici ebraici ed evangelici. Condivide con i nazionalisti ebrei la convinzione che anche loro, alleandosi con Trump, siano vicini a un dominio quasi universale:

Abbiamo schiacciato i progetti nucleari e balistici dell’Iran: sono ancora lì, ma li abbiamo respinti con l’aiuto del presidente Trump“, si vanta Netanyahu. “Avevamo un’alleanza precisa, nell’ambito della quale abbiamo condiviso l’onere [con gli Stati Uniti] e ottenuto la neutralizzazione dell’Iran“. Secondo Netanyahu, “Israele è emerso da questo evento come la potenza dominante in Medio Oriente, ma abbiamo ancora qualcosa da fare: ciò che è iniziato a Gaza finirà a Gaza“.

Dobbiamo ‘deradicalizzare’ Gaza, come era stato fatto in Germania dopo la Seconda guerra mondiale o in Giappone“, ha insistito Netanyahu a Euronews. La sottomissione, tuttavia, si sta rivelando difficile da ottenere.

Il mantenimento del “dominio” statunitense richiede tuttavia un’azione su più fronti, perché la guerra unidirezionale contro la Russia – che avrebbe dovuto fornire al mondo una lezione pratica sull’”arte” del dominio anglo-sionista – ha inaspettatamente fallito. E ora il tempo sta per scadere per la crisi del deficit e del debito americano.

Questo – pur essendo articolato come il desiderio di dominio di Trump – sta anche generando impulsi nichilistici di guerra e, allo stesso tempo, frammentando le strutture occidentali. In tutto il mondo stanno sorgendo tensioni aspre. Il quadro generale è che la Russia ha capito come stanno le cose: il vertice in Alaska non ha dato frutti; Trump non è seriamente intenzionato a ridefinire le relazioni con Mosca.

Le aspettative a Mosca ora propendono per un’escalation degli Stati Uniti in Ucraina, un attacco più devastante all’Iran o qualche azione punitiva e performativa in Venezuela, o entrambe le cose. Il team di Trump sembra stia alimentando un clima di eccitazione psicologica.

Gli oligarchi ebrei e l’ala destra del governo israeliano, in questo quadro emergente, hanno un bisogno esistenziale che l’America rimanga una potenza militare temuta (proprio come promette Trump). Senza l’”inarrestabile” bastone militare americano e senza la centralità dell’uso del dollaro nel commercio, la supremazia ebraica diventa nient’altro che una chimera escatologica.

Una crisi di de-dollarizzazione, o un crollo del mercato obbligazionario – contrapposto all’ascesa di Cina, Russia e dei BRICS – diventa una minaccia esistenziale alla “fantasia” suprematista.

Nel luglio 2025, Trump aveva detto al suo gabinetto: “I BRICS sono stati creati per danneggiarci; i BRICS sono stati creati per distruggere il nostro dollaro ed eliminarlo come standard“.

Cosa succederà ora? Chiaramente l’obiettivo iniziale degli Stati Uniti e di Israele è quello di “bruciare” la psiche di Hamas con la sconfitta e, se non ci sarà una chiara espressione di totale sottomissione, l’obiettivo generale sarà probabilmente quello di cacciare tutti i palestinesi da Gaza e insediare al loro posto coloni ebrei.

Il ministro israeliano Smotrich – alcuni anni fa – sosteneva che lo sfollamento completo della popolazione palestinese e araba non sottomessa sarebbe stato possibile solo durante «una grave crisi o una grande guerra», come quella avvenuta nel 1948, quando 800.000 palestinesi erano stati espulsi dalle loro case. Ma oggi, nonostante due anni di massacri, i palestinesi non sono fuggiti né si sono sottomessi.

Quindi Israele, nonostante Netanyahu si vanti di aver schiacciato Hamas, deve ancora sconfiggere i palestinesi a Gaza e alcuni media ebraici definiscono l’accordo di Sharm el-Sheik “una sconfitta per Israele”.

Le ambizioni di Netanyahu e della destra israeliana non si limitano a Gaza, ma si estendono molto oltre: mirano a creare uno Stato su tutta la “Terra di Israele”, ovvero il Grande Israele. La loro definizione di questo progetto coloniale è ambigua, ma probabilmente vogliono il Libano meridionale fino al fiume Litani, probabilmente la maggior parte della Siria meridionale (fino a Damasco), parti del Sinai e forse parti della Cisgiordania, che ora appartengono alla Giordania.

Quindi, nonostante due anni di guerra, ciò che Israele ancora vuole, secondo il professor Mearsheimer, è un Grande Israele senza palestinesi.

“Inoltre”, aggiunge il professor Mearsheimer:

“Bisogna pensare a ciò che vogliono rispetto ai loro vicini. Vogliono vicini deboli. Vogliono dividere i loro vicini. Vogliono fare all’Iran ciò che hanno fatto alla Siria. È molto importante capire che [mentre] la questione del nucleare iraniano è di fondamentale importanza per gli israeliani, essi hanno obiettivi più ampi, ovvero distruggere l’Iran e trasformarlo in una serie di piccoli Stati. E poi gli Stati che non riescono a dividere, come l’Egitto e la Giordania, vogliono che dipendano economicamente dallo Zio Sam, in modo che lo Zio Sam abbia un enorme potere coercitivo su di loro. Quindi stanno pensando seriamente a come trattare tutti i loro vicini e assicurarsi che siano deboli e non rappresentino alcuna minaccia per Israele”. 

Israele cerca chiaramente il collasso e la neutralizzazione dell’Iran, come ha sottolineato Netanyahu:

Abbiamo distrutto i progetti nucleari e balistici dell’Iran: esistono ancora, ma li abbiamo neutralizzati con l’aiuto del presidente Trump… L’Iran [ora] sta sviluppando missili balistici intercontinentali con una gittata di 8.000 km. Aggiungete altri 3.000 km e potranno colpire New York City, Washington, Boston, Miami, Mar-a-Lago“.

Mentre in Egitto inizia a prendere forma un possibile accordo di cessate il fuoco, il quadro regionale più ampio mostra che gli Stati Uniti e Israele sembrano intenzionati a provocare uno scontro tra sunniti e sciiti per circondare e indebolire l’Iran. La dichiarazione congiunta UE-GCC degli ultimi giorni sulle rivendicazioni degli Emirati Arabi Uniti sulla sovranità su Abu Musa e le isole Tunb riflette le sempre più attente analisi di Teheran secondo cui le potenze occidentali stanno ancora una volta utilizzando le monarchie del Golfo come strumenti per fomentare l’instabilità regionale.

In breve, non si tratta delle isole o del petrolio, ma della creazione di un nuovo fronte per indebolire l’Iran.

E con tutti questi progetti di riorganizzazione della regione per consentire l’egemonia di Israele, i grandi donatori ebrei vogliono la garanzia che gli Stati Uniti sostengano Israele incondizionatamente, da qui i cospicui finanziamenti destinati ai media mainstream e ai social media per assicurare a Israele un sostegno trasversale in tutta la società americana.

Il secondo anniversario del 7 ottobre pone una domanda: qual è il bilancio? La partnership tra Stati Uniti e Israele è riuscita a distruggere la Siria, trasformandola in un inferno di uccisioni intestine; la Russia ha perso il suo punto d’appoggio nella regione; l’ISIS è stato riportato in vita; il settarismo è in aumento. Hezbollah è stato decapitato ma non distrutto. La regione è in fase di balcanizzazione, frammentazione e brutalizzazione.

Il meccanismo di “snapback” del JCPOA per l’Iran [una disposizione che consente a uno dei partecipanti dell’accordo di riportare in vigore le sanzioni internazionali contro l’Iran se ritiene che l’Iran non stia rispettando gli obblighi previsti dall’accordo N.D.T.] è stato attivato e il 18 ottobre il JCPOA stesso scadrà. Trump si troverà quindi con un “foglio bianco” su cui potrà scrivere un ultimatum per richiedere la capitolazione dell’Iran o intraprendere un’azione militare (se lo desidera).

D’altro canto, se guardiamo agli obiettivi iniziali della Resistenza, ovvero logorare militarmente Israele, creare una guerra intestina all’interno del Paese e mettere in discussione, dal punto di vista morale e pratico, il principio del sionismo, il fatto che conferisca diritti speciali a un gruppo di popolazione rispetto a un altro, allora si potrebbe dire che la Resistenza, a un costo molto, molto alto, ha avuto un certo successo.

Ancora più significativo è il fatto che le sanguinose guerre di Israele hanno già alienato una generazione di giovani americani, che ormai è persa. Qualunque siano le circostanze dell’uccisione di Charlie Kirk, la sua morte ha liberato il genio del dominio israeliano “Israele prima di tutto” nella politica repubblicana.

Israele ha già perso gran parte dell’Europa e, negli Stati Uniti, l’intollerante insistenza di Trump e degli Israeli Firsters sulla fedeltà a Israele e alle sue politiche ha scatenato un’intensa reazione contraria al Primo Emendamento.

Questo mette Israele sulla strada per “perdere” l’America. E ciò potrebbe essere esistenziale per Israele, che potrebbe dover rivalutare radicalmente la natura del sionismo (che era, ovviamente, l’obiettivo dichiarato di Seyed Nasrallah).

Come si presenterebbe la situazione? Un’accelerazione della migrazione, che lascerebbe un mosaico di roccaforti sioniste a dover sopravvivere in un contesto di stagnazione economica e isolamento globale. È sostenibile?

Quale sarà il futuro che attende i nipoti di Israele?

Alastair Crooke

Fonte: strategic-culture.su
Link: https://strategic-culture.su/news/2025/10/13/waiting-on-images-of-abject-submission-that-dont-appear/
13.10.2025
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

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