La felicità va punita?

di Giorgio Bona

Angelo Lumelli, Poems, trad. Gianpiero W. Doebler, pp. 248, Agincourt Press, New York.

Sono qui per apparire mi devo arrangiare…

Questo è un verso di Angelo Lumelli tratto da una poesia compresa in Trattatello incostante, libro uscito nel 1980 per l’editore Savelli in una collana diretta da Giancarlo Majorino e Roberto Roversi.

E ora ecco Lumelli apparire al dì là dell’Oceano, con una traduzione che completa quasi per intero tutta la sua opera poetica per i tipi Agincourt Press, casa editrice che ha pubblicato importanti poeti italiani raccogliendo in volume poesie di Giorgio Bassani, Alfredo Giuliani, Elio Pagliarani e Adriano Spatola.

Il seme è buttato, il campo ha il concime giusto per una buona crescita.

Allora Senti l’antifona

 

frase – Nostro porto in alto mare

calze di lana grezza

sciarpe che pungono il collo dei bambini

elenchi e vetri rotti dell’ovest

e voi – scolari coraggiosi

frasi – finestre

varco per uomini pietosi

nasi contro i vetri – manine

che fanno ciao ciao

 

eccomi!

come uno spavento che ride

bambino supremo

non ha ritorno lo sparo

sillaba iniziale che ti lascia stordito

natività – almeno incontrassimo

gli occhi di un estraneo –

il passante che si volta

verso figli ripetenti

 

La poesia di Angelo Lumelli è come una casa piena di tanti piccoli oggetti. Ogni oggetto contiene una storia, ogni oggetto racconta. Lumelli non lancia messaggi, silenziosamente invita all’ascolto.

Gli apprendisti sono molti e questa bottega artigiana offre utensili giusti per imparare. Plasmare, elaborare, celare, mostrare con amore a volte è doloroso, ma necessario. Andiamo a ritroso nel tempo, un tempo dove la parola ha la sua veste essenziale ed è degna di una felicità in cui Lumelli lancia una sfida: l’urgenza vitale di fare letteratura.

Ecco come si presenta: autore attento a non cadere nelle trappole del linguaggio obbedendo al richiamo delle visioni posticce e innamorate, sirene di molti, fuochi fatui che portano la barca alla deriva. La parola, come tale, si riferisce a idee, percezioni, pensieri, enigmi, azioni. Solo quando si confronta con il verso rompe i confini delle pose retoriche e prepara l’anima in una nuova rinascita.

In oltre mezzo secolo Angelo Lumelli ci ha donato con la sua poesia un viaggio che punta all’infinito: la sua è una forza espressiva che reca idealmente in sé un promemoria del Novecento, il secolo in cui si hanno mille ragioni per “non essere contemporanei” ma che invita a non rimpiangere nulla.

quando finisce il lontano è finito anche il viaggio – non è un buon segno questa

mano che non si stacca – meglio se lanci un sasso e poi corri – convalescente con

brevi corsette – basta una prospettiva pro forma – come avessi le gambe buone – 

la tua ombra per terra, ai piedi della destinazione.

 

Non è bastato all’autore andarsene da Milano, sostare in quella zona del basso Piemonte dove si incrociano passaggi verso quattro province, Alessandria, Pavia, Piacenza e Genova; non è bastato venire in campagna, in un mondo che porta sulle spalle strascichi pesanti, ma anche bei momenti di vita, e che l’autore ha cercato di raccontare attraverso una visione ricca di delicati piaceri, come piccole sacche di gioia alla deriva. Non si è messo in salvo, Lumelli, quando è uscito con uno dei libri di poesia più belli e più interessanti di quella stagione, Bambina teoria (Corpo 10, 1990), che chiude una produzione di magia assoluta come Felicità Obbligata.

La felicità non ci salva e questo non basta. Allora la felicità va punita?

È una beffarda opposizione, anche trattata con quella sottile e sagace ironia, indispensabile alla vita e in questo caso da scoprire nella parola necessaria come rifiuto a sostare in acque tranquille con l’ancora a fondo. No, non è necessario e non è neanche il caso anche quando la parola affonda dentro orgogli e ricchezze affettive che abbracciano attrezzi agricoli, piccoli spazi dentro luoghi sconosciuti, richiami a nomi e fisionomie. Una parola che può incidere mentre sembra passare inosservata.

come un eroe ti ho visto in mezzo al linguaggio in rovina mentre cadeva a pezzi

di qua e di là con grida e oscuri fonemi gorgoglianti nelle trachee ricucite alla

meglio ti ho visto con le braccia alzate come un abbraccio mortificato – orante

arreso, io in questa finta bufera – tra nugoli di domande voi mosche di sillabe!

Aspettando la grande frase da pronunciare come fosse scoprire l’America!

 

A una mente mai ferma, continuamente in azione, con un pensiero in difesa di una poesia che è diga e non rifugio contro la brutalità del mondo contemporaneo, la vertigine poetica in quei versi vibranti lancia messaggi di meraviglia.

Detta così sembra ci sia una forma mentis dove il pensiero è un atto ricettivo sublime del mondo e il mondo arriva in soccorso anche del linguaggio. Non è così. Angelo Lumelli è il poeta che va incontro, è il poeta dell’agire e il pensiero è la più grande forma di azione possibile. “Piedi in terra” e “testa in fiamme” aveva scritto a suo tempo Giancarlo Majorino presentando il primo libro di poesie di Lumelli per Guanda nel 1977, libro che lo portò a vincere il Premio Viareggio l’anno successivo. Osserva, cerca, si interroga mentre la lingua scava, senza aver la pretesa di comprendere per forza.

Al quotidiano Angelo Lumelli dona quel pizzico di magia, quel tanto di imprevedibile che lo rende pieno di vita. Con flash istantanei sembra fermare un presente di scorci che si fanno parola, intuizione, messaggio. E su tutto uno sguardo di ironia, affettuosa, a tratti tagliente, cattiva, ma mai distaccata.

Poeta che tocca con mano il senso delle cose: tutto parte da una curiosità per il mondo che ci circonda, dove la capacità di stupirsi è un richiamo. Angelo Lumelli non chiede alla scrittura di spogliarsi, di calarsi nuda nella visione del mondo, non vuole scherzare, fare finta, non vuole stare in equilibrio su una corda con un piede nel vuoto: si affida a lei rendendo ogni tempo che si confronta con un tempo dilatato che sta dentro un soffio di eternità, un’eternità quanto più possibile vicina.

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